Desidero per prima cosa portarvi i saluti del mio amico Salvatore Albanese, il Presidente dell’Associazione Cilla che non è potuto essere qui oggi per un infortunio che sta impiegando più tempo del previsto a guarire.
Io vivo a Bologna e mentre venivo qui a Palermo ieri pensavo che un imprevisto, come banalmente è quello di essere da questa parte del microfono invece che lì in mezzo a voi, è sempre una grande occasione per fermarsi un attimo a pensare, di fare i conti con quel qualcosa che non torna, far fronte alle domande che irrimediabilmente emergono sul senso e sul significato delle cose che ci stanno accadendo.
Gli ospiti delle nostre case stanno tutti facendo i conti con un imprevisto che, in questo caso, è estremamente faticoso, doloroso, talvolta drammatico: la malattia propria o di un proprio caro.
Voglio darvi brevemente la dimensione numerica dell’Associazione Cilla: oggi siamo presenti in Italia con 25 strutture in cui ogni anno accogliamo più di 10.000 persone. Circa 6.000 sono le persone che incontriamo in quelli che chiamiamo Centri di Accoglienza, ovvero uffici/sportello all’interno di alcuni ospedali. Sono numeri di un certo rilievo che però non permettono di descrivere davvero quale sia l’esperienza viva, quotidiana degli amici di Palermo qui presenti e degli altri 400 amici che, in tutta Italia, sono impegnati nella nostra Associazione.
Noi amiamo definirci come un gruppo di amici all’opera, ovvero persone che si sono assunti liberamente e responsabilmente il compito di accogliere i malati e i loro familiari che si spostano dalla propria città di residenza per curarsi in ospedali ad alta specializzazione.
Amici all’opera e quest’opera non vogliamo farla da soli e sempre cerchiamo e chiediamo un rapporto con le pubbliche istituzioni e le aziende ospedaliere che approfitto per ringraziare di essere presenti così numerose qui oggi.
Il dott. Russo prima ha parlato di sussidiarietà e noi crediamo fermamente in un sistema sussidiario in cui siano riconosciuti, ove possibile sostenuti, quantomeno non ostacolati, i soggetti della società civile che, mossi da un ideale, fanno un tentativo serio per costruire una società più giusta e più umana: luoghi in cui le persone possano essere più felici.
Il desiderio di felicità è ciò che costituisce l’uomo: ciascuna cosa facciamo, la facciamo più o meno consapevolmente, nella ricerca di una risposta a questo nostro desiderio che ci costituisce.
La vera questione allora è come si può affrontare e fare i conti con quelle che appaiono come totali negazioni di questo desiderio: la malattia, la fatica, il dolore.
Noi riteniamo di essere estremamente fortunati perché abbiamo avuto ed abbiamo tantissimi esempi concreti di persone che ci testimoniano che il nostro desiderio di felicità ed una circostanza drammatica da affrontare non sono antitetici.
Penso innanzitutto a Rino Galeazzi, fondatore della nostra associazione e papà di Cilla, che ha saputo trasformare l’avvenimento doloroso della morte della figlia 15enne nella possibilità di bene per tante persone;
Penso a Don Giussani che, con la sua vita ed il suo metodo educativo, ci ha mostrato che questa strada è possibile e continua ad accompagnarci attraverso Don Carron, il suo successore alla guida del Movimento di Comunione e Liberazione.
Penso a Federica e all’esperienza della sua famiglia che c’è stata testimoniata poco fa.
Le testimonianze e gli esempi sono davvero tantissimi e questo è il nostro metodo operativo:
non accogliamo le persone perché sono malate, ma perché riconosciamo il fatto che qualunque uomo, qualsiasi sia la sua condizione, qualunque sia la circostanza che è costretto a vivere è per sua natura stessa un valore e vale per il suo rapporto col Mistero che lo fa.
Non accogliamo le persone per un dovere morale, per fare un gesto buono o per risolvere i loro problemi che non è certo nelle nostre capacità, che non è nelle nostre mani e che non dipende da noi, ma perché riconosciamo che il bisogno di chi incontriamo è lo stesso bisogno che abbiamo noi, che il loro destino è esattamente identico al nostro.
La gratuità, credo che Crocetta nel suo intervento l’abbia chiaramente testimoniato, è una delle esperienze più grandi che un uomo possa fare: ci si muove per dare qualcosa agli altri, per aiutare qualcuno e si scopre immediatamente che se ne riceve cento volte di più.
Noi offriamo una semplice compagnia alle persone, una semplice compagnia umana che vuole affermare che, con la carità di Cristo, la domanda di essere felici ha una possibilità di risposta anche dentro una circostanza dolorosa.
Ne nasce immediatamente una letizia che può essere originata soltanto dalla certezza che il dolore, la difficoltà, la malattia, perfino la morte non sono il giudizio definitivo, non sono l’ultima parola sull’uomo perché, questa è la nostra certezza, l’ultima parola spetta a Colui che è Origine e Destino della nostra vita.
Grazie